Nella Relazione del 20 aprile 2022 la Commissione Parlamentare di inchiesta sulle condizioni di lavoro in Italia, pur dipingendo efficacemente a fosche tinte il caporalato, per quanto riguarda le “forme di schiavitù e di servitù”, si limitava ad evocare un asserito “gigantismo penale” dell’art. 600 c.p. che punisce il reato di “riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù”, quasi si trattasse di fenomeni ormai improponibili nell’attuale mondo del lavoro. E, invece, pochi giorni (e mesi) dopo la Cassazione fu impietosa: insegnò che l’art. 600 c.p. configura un delitto integrato alternativamente dalla condotta di chi esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli spettanti al proprietario o dalla condotta di colui che riduce o mantiene una persona in stato di sfruttamento. Situazioni che, purtroppo, contrastano anche con la giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.